lunedì 22 febbraio 2010

"Le concert" ("Il concerto")

A volte succede.
A volte accade che le mani dell'istinto e della sorte mi conducano di fronte a film che in mille altre occasioni avrei semplicemente ignorato, cavalcando la mia avversione verso quel cinema per cui si ritiene che l'essere di nicchia sia sufficiente motivo di valore.
A volte accde che le mani della sorte e dell'istinto ti facciano trovare un gioiello prezioso e di commuovente bellezza.
E' questo, semplicemente, il film diretto da Radu Mihaileanu, cucito intorno al concerto per violino (in Do Maggiore - Op.35...) di Tchaikovsky ed all'ossessione di cui è fonte per l'ex direttore d'orchestra Andrei Filipov (un Aleksei Guskov tormentato, consumato, incredibilmente magnetico): ai suoi occhi esso simboleggia infatti la perfetta armonia, proprio perchè perfetta eternamente inseguita e (forse) eternamente irraggiungibile.
Tutta la pellicola diventa così anch'essa una ricerca dell'armonia, ricerca del momento miracoloso in cui il coro di voci dissonanti si trasforma in un'unica melodia. Ogni momento della storia (miscela brillante di comicità e dramma, popolata di personaggi surreali, bizzarri, spassosi, così perfetti nelle loro palesi imperfezioni) rappresenta un passo mosso dallo spettatore verso il concerto finale, così carico di emozioni da mozzare il fiato e velare gli occhi di lacrime.
In questo si svela tutta la magia del cinema e la bravura del regista rumeno che ne è strumento: nel modo in cui l'evento viene messo in scena non lo si rende solamente un'espressione di virtuosismi musicali, ma lo si fa vibrare delle storie, del cuore di ciascuno dei protagonisti, donandogli quell'unicità e quella irrepetibilità che sono la grandezza stessa della musica classica e rendono indimenticabili le due ore in cui siamo stati prigionieri di quella magnifica ossessione.

Voto: 9
Dramma dipinto con pennellate a toni comici e surreali, con la ricetta vincente già vista in Train de Vie, che parla di perdita e di riscatto, di realismo e di ossessione, con tutta la magica potenza della musica classica e del cinema.

venerdì 5 febbraio 2010

"Up In The Air" ("Tra le nuvole")


Tra le nuvole, sospesa nell'aria, così è la vita di Ryan Bingham (George Clooney), metaforicamente e concretamente limbo isolato e dimensione privilegiata rispetto a quella in cui si muove il resto del mondo. Di questa esistenza ci vengono taciuti i viaggi veri e propri, ma ce ne viene invece mostrato il continuo nutrirsi dei rituali che preludono e seguono ad ogni volo (la 'composizione' del trolley, la 'passerella' dell'imbarco, ...) e che sono portati ad elitaria e scientifica perfezione.
Così un po' alla volta questa routine cattura lo spettatore, facendolo sentire a suo agio in questo universo parallelo che esiste per sollevare (lui e) il protagonista da quel limo di dolore, disperazione e rabbia che il lavoro di "tagliatore di teste" su commissione costringe ad attraversare un giorno dopo l'altro.
Man mano che la pellicola procede il volo ed il viaggio diventano sempre più evidentemente come il guscio eretto intorno a sè da uomini e donne cui la vita con i piedi a terra domanda o sembra domandare troppo, istante dopo istante.
Di questo si accorge presto anche Nathalie (una Anna Kendrick che speriamo rimanga indenne dal suo viaggio adolescenziale nella saga di Twilight...), elemento femminile che dall'esterno si infiltra nel mondo di Bingham e cerca di sovvertirlo con l'idealismo della sua gioventù, cui fa da contraltare la figura della Alex interpretata dall'incantevole Vera Farmiga [The Departed], creatura che invece appartiene in tutto e per tutto a quel mondo e ne incarna il disincanto ed il quasi cinico accontentarsi. Amanti, allieve, amiche, sorelle: nel bene e nel male sono le donne il sottile filo rosso che riemerge dalle pieghe della storia e che ne guida le fila.
Jason Reitman [Thank You for Smoking, Juno] dà vita ad una maiuscola prova di regia dirigendo un film che parla della solitudine e dell'amore, della famiglia e del lavoro, del perdere tutto e del ritrovare sè stessi. Lo fa guidando con cura il ritmo della pellicola, usando la tecnica ed i tempi comici per accelerare quei passaggi che poi gli consentiranno (spesso) di rallentare senza che lo sguardo dello spettatore si distragga annoiato. In questo modo viene liberata tutta la forza di una sceneggiatura che è elogio meraviglioso della semplicità.
Senza che vi sia ombra degli strepiti mucciniani, in poco più di novante minuti travestiti da commedia brillante vengono messi a nudo i drammi e gli snodi della società americana, con una leggerezza ed una pulizia che li rendono ancora più stordenti, smuovendo dentro di noi le stesse domande che agitano i protagonisti del film, obbligandoci a guardare nello zaino che portiamo sulle spalle e a chiederci se il peso che tende i legacci sia ragione od ostacolo della nostra felicità.
Ricordando infine l'eccellente cast, mi si lasci spendere una parola anche per George Clooney, mai in un così perfetto equilibrio tra la sua parte surreale [L'uomo che fissava le capre], la sua parte brillante [Un giorno per caso] e la sua parte drammatica [Michael Clayton].

Voto: 8/9
Riuscitissimo matrimonio tra commedia brillante e dramma, un film scritto ottimamente e guidato stupendamente da regia ed attori che colpisce mente e cuore.