martedì 22 febbraio 2011

"L'arnacoeur" ("Il truffacuori")

Probabilmente influenzato dalla stretta attualità, negli ultimi giorni sono stato stuzzicato dall'idea di affidare per qualche tempo la mia penna di recensore nella mani di un persona come Simone Moro, un alpinista di quella fatta, e di porlo dinnanzi al genere della commedia romantica con il compito di descriverlo utilizzando la sua esperienza.
Mi piace immaginare che il risultato di questo esperimento risiederebbe in un paragone, nel paragone con uno degli Ottomila più impegnativi: poche persone sono riuscite a raggiungere la vetta, ancor meno quelli che hanno aperto o apriranno nuove vie, mentre molti, troppi, sono quelli che senza averne i mezzi si affollano nella salita semplicemente ripercorrendo le orme d'altri, per questo inesorabilmente destinati all'insuccesso. Al giorno d'oggi partire bene e compiere lunghi tratti dell'ascesa è diventato impresa comune, ma è una rarità trovare chi riesca a proseguire oltre il punto in cui diviene indispensabile far conto solo sulle capacità proprie e dei compagni.
A capo di questa spedizione tutta europea de "Il truffacuori" si pone il regista Pascal Chaumeil, circondatosi di una squadra (dall'impronta fortemente transalpina...) guidata da Romain Duris (finalmente quasi libero dalle ultime scorie de "L'appartamento spagnolo"...) e Vanessa 'Ms. Depp' Paradis.
Un osservatore esterno non particolarmente amante dello stile francese si troverebbe probabilmente a nutrire già a questo punto un pizzico di pregiudizio sull'intero progetto, ma la coltre di scetticismo è destinata sorprendentemente a diradarsi sin dalla prima scena, quando l'irrompere della memorabile voce di Dusty Springfield strappa un moto di sorpresa al volto dello spettatore e dà fuoco alle polveri di una colonna sonora grandiosa, capace di mescolare con grandissima efficacia generi e stili molto eterogenei e di divenire uno dei punti di forza del film.
A monte di questa scelta vi è sicuramente anche il lavoro del terzetto di sceneggiatori quasi debuttanti, che decidono di dare alla vicenda un taglio abbastanza insolito da incontrare in questo genere: il lavoro di Alex e del suo team, organizzato con precisione chirurgica e professionalità estrema, impone alla storia un ritmo sorprendente, che riesce nell'impresa di tenerla lontana (per quanto possibile...) da quelle sabbie mobili narrative che sono la mielosità e la scontatezza; senza tralasciare il fatto che questo approccio si rivela fondamentale per creare gli spunti comici di cui è disseminata la pellicola, in grado di regalare momenti di autentico divertimento...
In altre parole il film funziona dannatamente bene, dall'inizio sino alla fine (finalmente una chiusura con i tempi giusti, asciutta e non dilatata abnormemente!), riuscendo anche a non tradire mai la sua connotazione romantica (a riprova di questo pensate al motivo per cui Vanessa Paradis vi sembri sempre più bella con il passare dei minuti...è segno che anche voi siete stati trascinati nel vortice che afferra poco a poco il protagonista...)

Voto:8
Una vera sorpresa
questa sorta di "Mission Impossible" a sfondo romantico, rivelatosi leggero e molto godibile, originale quel tanto che basta per regalare una boccata di aria fresca ad un genere un po' bloccato nell'imitazione di sè stesso.

giovedì 17 febbraio 2011

"The King's Speech" ("Il discorso del re")

Durante la notte del prossimo 27 febbraio i riflettori della cerimonia degli Oscar si accenderanno ed è singolare che due delle opere che saranno più rischiarate dal loro fascio siano "The Social Network" e "The King's Speech", così profondamente diverse in superficie eppure così insospettabilmente simili se scrutate in profondità: entrambe infatti ruotano intorno al punto focale della comunicazione, della sua inarrestabile globalizzazione e di come ha mutato la traiettoria di vite normali ed eccezionali (nella sua accezione letterale).
Negli Anni Trenta del secolo scorso la radio esercita con sempre maggior forza questo potere: divenendo con il passare dei giorni un mezzo indispensabile per diffondere informazioni e raggiungere persone sempre più lontane, essa rende ogni momento più decisiva e discriminante la capacità di servirsi di questo mezzo.
Tale capacità fa certamente difetto ad Albert Frederick Arthur George Windsor - Duca di York (Giorgio VI per i posteri......Bertie per la famiglia......), sin dall'infanzia intrappolato dalla balbuzia e costretto a vagare senza successo di specialista in specialista, fino all'incontro con il poco ortodosso logopedista Lionel Logue.
Ridotto alla sua essenza, il film diretto da Tom Hooper non è altro che il racconto del duetto che viene messo in scena dai due e che li porta, a suon di scaramucce e riappacificamenti, dall'iniziale diffidenza verso una profonda amicizia. L'evolversi di questo rapporto è ben orchestrato da una sceneggiatura dotata di qualità e ritmo, priva di fronzoli ma prodiga di sottotesti che arricchiscono la vicenda principale senza toglierle linfa. Di volta in volta, come voci differenti all'interno di un unico coro, emergono il rapporto con la famiglia ed i figli, il solco scavato tra colonizzatori e colonizzati o tra popolo e nobiltà, la guerra, ecc ... che consentono alla storia di dipanarsi senza battute a vuoto e ne evidenziano l'attitudine da pièce teatrale.
Anche la regia tradisce questa impronta, servendosi di movimenti di macchina semplici e di una fotografia molto "londinese" (per colori e gradazione della luce) che dona alle scenografie ed agli ambienti quelle sembianze quasi bidimensionali proprie dei palcoscenici.
La scelta di un registro essenziale e, per certi versi, classico certamente privilegia l'affidabilità rispetto all'originalità, ma riesce nell'intento di esaltare con efficacia l'elemento più prezioso della pellicola, i suoi interpreti. All'interno di un cast ove ciascuno merita un plauso, da Helena Bonham Carter sino ad un meraviglioso Colin Firth (quanta grandezza vi è nel rendere quel mescolarsi di devastante insicurezza ed ardente orgoglio...), il tutto viene letteralmente oscurato da un monumentale Geoffrey Rush, in grado di dominare lo schermo anche senza profferir verbo (se siete scettici ammirate la sequenza finale...).

Voto:8
Tributo ad un cinema classico, di impronta quasi teatrale, possiede tutti gli ingredienti (grandi attori, ottima scrittura, vicenda a sfondo storico) in grado di attirare i favori della Academy e di colpire anche il grande pubblico, pur senza sfoggiare l'originalità tra i gioielli della sua corona.