lunedì 11 ottobre 2010

"Bright Star" (id.)

Come novelli don Chisciotte sfidati dai mulini a vento, ci troveremmo destinati ad inseguire un'illusione se cercassimo di individuare e classificare le ragioni per cui l'arte ci riesce ad emozionare, di tendere un filo di oggettività che ci consenta di prevedere le nostre reazioni di fronte ad essa. Esempi perfetti sono la pittura ed il cinema stesso, ma è impossibile dimenticare la poesia, alla base dell'ultima fatica di Jane Champion. La regista neozelandese (su proprio soggetto) decide di raccontare un frammento della breve e tormentata esistenza di John Keats, alfiere dell'ottocentesco romanticismo inglese, e del bruciante rapporto con la sua 'musa' Fanny Brawne.
Per farlo impugna la macchina da presa con delicatezza e quasi con pudore, 'spegne' la tonalità di molti colori ed accompagna il tutto con una colonna sonora lieve ed intessuta di archi. Questa sorta di sguardo 'neutro' con cui decide di farci osservare le vicende è un'impronta stilistica che per sua natura vive nel rischio di trasformare il tutto in un semplice documentario, ma in questo caso non fa altro che lasciare agli elementi della narrazione la libertà di emergere spontaneamente, rispettandone e preservandone le peculiarità.
Così, nel tessuto della vita nella campagna inglese di metà Ottocento, risplendono i fili delle poesie e degli sguardi dei due incantevoli protagonisti.
Il Keats di Ben Whishaw è tormentato, solitario ed affascinante, tanto fragile da sembrare in ogni istante sul punto di spezzarsi sotto il peso delle circostanze quanto in grado di trasmettere forza palpitante e travolgente nelle parole vergate su piccoli e sparsi frammenti di carta; incapace di sentirsi parte di un mondo alle cui emozioni riesce a dar voce meglio di chiunque altro.
Ma il vero splendore del film è tutto racchiuso nel volto e nelle movenze di Abby Cornish, tanto più stupefacente in quanto lontana da ogni forma di artificiosità. Così, illuminata dal germe di anticonformismo e ribellione che le alberga nel cuore, si muove con grazia tra le pieghe della storia, incuriosendo ed affascinando lo spettatore che, come il protagonista maschile, si trova a poco a poco avvinto dalla spirale che conduce verso l'amore bruciante e totalizzante.
Dal punto di vista cinematografico il lavoro della Champion è superbo proprio perchè riesce ad immergerci in queste vicende senza interporre filtri, ma proprio questo sarà per molti un elemento penalizzante:il film è permeato dello spirito dell'epoca e dei protagonisti e finisce con l'assumerne totalmente la forma, quindi non me la sento di condannare chi cadrà presto preda della noia a causa di una vicenda estranea e lontana dal proprio modo di sentire e pensare.
D'altronde, come si diceva all'inizio, beato colui che riuscirà a trovare il fulcro su cui agisce l'arte per emozionarci...

Voto: 8 1/2
La più recente opera in costume di Jane Champion regala momenti di autentica e vibrante poesia, anche se la veste scelta per la rappresentazione correrà forse il rischio di essere d'ostacolo all'empatia di chi non nutre un'intensa passione per il mondo descritto dalla regista neozelandese.

2 commenti:

piratz1 ha detto...

Scusi se mi permetto di rompere l'idillio nel quale cercava di introdurci..

Questo film è un vero e proprio scartravetramento di prostata..

Comunque, mio malgrado, non posso dire che mi sia dispiaciuto..

Per citare Checco Zalone: "Mai una doccia.."

The Screensurfer ha detto...

Purtroppo non colgo la citazione visto che i miei amici mi hanno tirato pacco al momento di recarsi alla visione del film che è appena diventato quello italiano con i maggiori incassi della storia...
Comunque concordo..il problema è che ai falegnami tutto 'sto scartavetrare piacerà una cifra...