mercoledì 1 febbraio 2012

"The Ides of March" ("Le Idi di marzo")

Il 15 marzo del 44 a.C., bagnate dal sangue versato dai congiurati, le Idi di marzo divennero una sorta di simbolo universale del tradimento, la personificazione cruenta dei giochi di potere.
Nel nuovo film di George Clooney non vi è però un solo Cesare od un solo Bruto, perchè tutti i personaggi sono chiamati, prima o dopo, ad interpretare il ruolo di traditore o di tradito, mentre muovono i loro passi lungo il palcoscenico che questa volta ha le sembianze del mondo politico americano.
Il regista di "Good Night, and Good Luck" decide di mettere in scena la spettacolare fase delle elezioni politiche (vera passione della narrativa americana ... suggerisco due perle imprescindibili: letteraria, il racconto "Forza, Simba - Sette giorni in Cammino con un Anticandidato"
di D.F. Wallace, e cinematografica, l'intera terza stagione del serial "The Wire"), concentrandosi, più che sui fatti particolari (quasi dei pretesti), sulle dinamiche che li provocano e che li concatenano, sul movimento degli ingranaggi intrappolati nel movimento di questo sistema.
Clooney probabilmente non ha ancora, come regista, la brillantezza e l'ironia del cinema di denuncia che affonda le sue radici più floride negli Anni Settanta, ma dà una gran bella prova di rigore e pulizia stilistica, costruendo un mosaico in cui ogni pezzo è 'elegantemente' al suo posto e si allaccia perfettamente a quelli circostanti. Prova tanto più apprezzabile perchè, con tocchi quasi impercettibili, riesce a dare corpo e sostanza non solo alle luci, ma anche alle inscindibili ombre che sono proprie dei vari personaggi.
A tal riguardo, come nel già citato "Good Night, and Good Luck", il fondamento di rappresentare un plot rigoroso e ben scritto, ma senza particolari variazioni di ritmo, è proprio quello di servirsi di un cast che dia alla storia le sfumature necessarie, come un blocco di marmo che, sebbene aiutato dalla mano dello scultore, riesca di per sè stesso a dare un valore particolare alla luce ed alle forme.
Davanti a tutti (compresi i bravi Clooney e Tomei) galoppano i due soliti, grandiosi cavalli di razza Seymour Hoffman e Giamatti (rasenti alla perfezione nell'esprimere quel mescolarsi di cinismo e disillusione che marchia a fuoco i loro personaggi), mentre merita qualche riga a parte il superbo Ryan Gosling: ai posteri l'onere di decidere riguardo la sua grandezza di attore, ma non toglie forse il respiro anche a voi contemplare la tenerezza ed il fulgore nel suo sguardo e l'attimo dopo trovarvi a fissare dei lineamenti più freddi del ghiaccio, due occhi dietro cui sembra esserci solo il vuoto?
Il regista merita comunque un ulteriore plauso, per come li guida con mano attenta e sicura e li cuce all'interno della storia alternando con efficacia primi piani e campi lunghi, usando abilmente silenzi e musiche (vd. ad es. la sequenza del dialogo alle spalle della gigantesca Stars and Stripes, che con la sua presenza assordante riempie la scena, oppure la conversazione all'interno del S.U.V., vera lezione di regia).
Presi nel loro complesso tutti questi elementi costruiscono dunque un film che, anche se non originalissimo, è potente ed incisivo nel rappresentare il crollo degli ideali in certa parte del mondo moderno, travolti da un meccanismo semplice quanto inesorabile che Niccolò Macchiavelli aveva codificato con sbalorditiva lucidità già cinque secoli fa: il fine giustifica i mezzi.

Voto: 7 1/2
Analisi lucida ed impietosa della società (non solo politica) americana, l'opera quarta del George Clooney regista non mette in scena elementi originali, ma regala comunque un ritratto che spicca per sguardo, intelligenza della narrazione ed interpreti.


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